Esiste una parola in economia che le buone maniere impongono di non utilizzare: plutocrazia.

Cercando su qualsiasi dizionario etimologico troviamo la seguente definizione:

Plutocrazia: Plùtos (ricchezza) + Kratìa (potere/comando)

Governo dei ricchi; forma di governo in cui i più doviziosi hanno in mano il potere.

 

Da un lato prettamente economico tale definizione non spiega il timore con cui viene pronunciata, anzi, sembra quasi una banalità. Da tempi antidiluviani potere e ricchezza hanno un destino comune, sempre volto all’amministrazione della cosa pubblica. Ma allora perché un tema apparentemente così scontato provoca un tale imbarazzo?

Per essere chiari rubiamo le parole addirittura a Thoma Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti, principale autore della dichiarazione di indipendenza e presente sul monte Rushmore accanto a George Washington, Abraham Lincoln e Theodore Roosevelt. Sul rischio che gli interessi economici di pochi arrivassero ad influenzare la vita di tutti diceva così:

“Io credo che le istituzioni bancarie siano più pericolose per le nostre libertà di quanto non lo siano gli eserciti permanenti. Se il popolo americano permetterà mai alle banche private di controllare l’emissione del denaro, dapprima attraverso l’inflazione e poi con la deflazione, le banche e le compagnie che nasceranno intorno alle banche priveranno il popolo dei suoi beni finché i loro figli si ritroveranno senza neanche una casa sul continente che i loro padri hanno conquistato.”

 Questo è il primo motivo per il quale il termine “plutocrazia” risulta scomodo. Esso punta il dito contro quelle pochissime persone nel mondo che controllano i destini economici di tutti. A fine Gennaio viene ripresa dalle maggiori testate giornalistiche una ricerca di un’organizzazione non governativa britannica, la Oxfam. Tale ricerca svela dati sconvolgenti sulla distribuzione della ricchezza. L’uno percento della popolazione mondiale possiede una ricchezza superiore al restante 99% (qui il link all’articolo).

Questo dato palesa una realtà drammatica, il problema quasi intangibile della distribuzione della ricchezza viene sbattuto sotto gli occhi di tutti. Il sistema economico in cui viviamo ha permesso questo squilibrio. L’attacco ai poteri forti non basta a spiegare il perché non si chiami plutocrazia questa degenerazione economica. Il reale motivo per il quale questo termine non si può più utilizzare ha radici storiche. L’ultima volta che “plutocrazia” è stato pronunciato senza provocare imbarazzo risale al 10 Giugno 1940, poco dopo le 18.00.

“… Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano.”

 Benito Mussolini comunicava al popolo italiano la discesa in guerra. Il modello economico fascista osteggiava lo schema tipicamente americano, accusandolo appunto di creare un regime plutocratico.

Questa è la storia di una parola che non viene più utilizzata poiché da un lato accusa poteri troppo grandi e dall’altro sposa una teoria propria di un regime.

 

La distribuzione della ricchezza è un tema di centrale importanza nella questione economica attuale. A prescindere dal fatto che venga utilizzata la parola plutocrazia o meno è inevitabile che si ragioni su un tema così presente nella vita di ciascuno da influenzarla in ogni ambito: lo squilibrio economico e sociale che la finanza ha generato.

A presto.

Emanuele