La previdenza è davvero un problema?

 Il problema previdenza in Italia esiste e non è da trascurare, ma…

Cominciamo dall’inizio. Un bel giorno, anzi, un brutto giorno il popolo italiano scoprì di avere un problema previdenziale. Rendendo tutto molto semplice, per una serie di fattori che esporremo brevemente, ci siamo accorti che la struttura pensionistica italiana non avrebbe potuto resistere oltre il 2022. Questo crollo sarebbe stato imputabile a: cattiva gestione passata, baby pensioni, innalzamento dell’aspettativa di vita, evasione contributiva, continui rimandi nell’affrontare la riforma previdenziale, innalzamento della disoccupazione. Data l’ineluttabilità della situazione si è deciso di attuare i cambiamenti, che in Europa sono stati affrontati in vent’anni, in una notte. Da quel momento è partito il tipico circo mediatico. Partiamo con le lacrime della Fornero, passiamo per i titoli dei giornali dove la pensione sarebbe diventata un miraggio per tutti, arriviamo agli interessi di chi gestisce la previdenza privata.

Abbiamo trovato il tema di oggi. Il problema previdenziale esiste, ma se qualcuno ci specula diventa più grande di quello che sia in realtà. Applichiamo il rasoio di Ockham a questo tema (per chi volesse una definizione precisa del metodo). Se davvero la pensione fosse in pericolo come ci dicono il governo italiano avrebbe firmato la propria condanna a morte, innescando la miccia di una bomba sociale dalle dimensioni incalcolabili. Riconducendo la problematica alla realtà possiamo affermare che l’onere pensionistico, fino alla riforma totalmente a carico dello stato, per mantenere la stessa consistenza oggi necessita di un aiuto di natura individuale. Tengo a precisare che l’analisi è solo economica, esula quindi da problematiche quali situazione esodati o disoccupazione over 40.

Per rendere il ragionamento palese utilizziamo i numeri.

Prendiamo per vera la “bugia” che la quota pensionistica alla quale accederemo sarà il 50% dello stipendio. Creando un accantonamento da gestire in rendita vitalizia (ossia calcolato fino agli 85 anni e poi elargito fino al decesso anche se successivo) dobbiamo coprire quel 50% che ci dicono perderemo. Lo stipendio medio in Italia è 1.500 € al mese. Dobbiamo creare una pensione a rendita vitalizia  di 750€. Ovviamente congeleremo il tasso inflazionistico sia per lo stipendio che per la pensione in maniera tale da operare un calcolo equo e parametrabile alla situazione attuale. L’età media di arrivo alla pensione sarà 65 anni. Ci serve dunque un capitale di 750€ al mese per 20 anni ( dai 65 agli 85).

 

750 x 12 = 9.000

9.000 x 20 = 180.000 capitale necessario

Applichiamo la formula della capitalizzazione composta M = C (1+i)n

M: montante o capitale necessario

C: capitale da investire annualmente (incognita)

i: interesse

n: numero di anni

 

  • Se mi serve creare un capitale di 180.000 € in 40 anni di lavoro ad un tasso di interesse del 2% mi basterà accantonare 125 € al mese.
  • Se mi serve creare un capitale di 180.000 € in 20 anni di lavoro ad un tasso di interesse del 2% mi basterà accantonare 250 € al mese.
  • Se mi serve creare un capitale di 180.000 € in 10 anni di lavoro ad un tasso di interesse del 2% mi basterà accantonare 500 € al mese.

Possiamo affermare con tranquillità che la vera discriminate per risolvere il problema previdenziale non è la cifra da dover versare bensì il tempo. Una cifra troppo alta serve solo a generare guadagno in chi ci fa sottoscrivere un prodotto. Prima iniziamo ad accantonare una piccola cifra per la nostra pensione prima questa azione ci permetterà di risolvere un problema che esiste ma non ha le dimensioni di cui ci parlano. Come sempre occorre ragionare sul vantaggio che un’azione genera in chi ci suggerisce di compierla. In questo modo spero di non incontrare più clienti che destinino alla propria pensione il 30% o più del proprio stipendio.

A presto.

Emanuele

 

 

 

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